Parete Nord - 2a salita invernale della via "Campia" alla Guglia del Dragonet - Valle Gesso - Febbraio 2003
Il vallone del Dragonet è oggi uno dei luoghi più solitari e selvaggi della valle Gesso. In estate si tinge di verde, in forte contrasto con le austere pareti NO-N-NE del gruppo delle Aste, e appena qualche raggio di sole riesce a lambire alcune delle sue parti più nascoste. Durante l’autunno e soprattutto in inverno cambia completamente veste, è tanto buia e fredda che anche per i camosci è inospitale, la luce non è mai diretta ma sempre diffusa, tenue, quasi a non disturbare quest’incanto.
È qui, sotto gli occhi di tutti, che si nascondono alcuni dei più belli itinerari alpinistici, in vecchio stile, della zona; Campia e compagni, i Salesi, Ughetto e Ruggeri, più recentemente anche Manna e Tealdi e il sottoscritto con Bottini hanno tracciato, o meglio la roccia ci ha guidati, stupendi itinerari, a torto poco ripetuti.
Un paio di anni fa, ho scoperto lo splendido itinerario che raggiunge la Guglia del Dragonet salendo l’aereo sperone che la unisce con il glacio-nevato del Dragonet…naturalmente in estate…ma da allora ho sentito l’impulso (forse le letture di alcuni libri di montagna mi hanno aiutato…) a cimentarmi con essa in inverno. E così, in un fine settimana di febbraio, insieme a mio fratello Alberto, il sogno si avvera…
È venerdì mattina, il cielo è terso, le previsioni sono dalla nostra… finalmente, dopo tanto sognare, inizia l'avventura. Passiamo da G.B. Piacenza a prendere le chiavi del rifugio Gandolfo e…sorpresa, il gas dovrebbe esserci ma legna per la stufa no, G.B. ci spiega che non è riuscito a salire prima delle precoci nevicate di questo inverno; gentilmente ci lascia qualche “bel pezzo” e così, oltre alla ferraglia, la legna per scaldarci aumenta paurosamente il peso degli zaini…saranno almeno 30 kg!!! Con molta calma ci avviamo. Passando per l’area del Ciriegia e costeggiando per un bel tratto il torrente Gesso arriviamo all’imbocco del vallone del Dragonet, La neve è alta e farinosa e gli alberi piegati dalle valanghe primaverili ci fanno faticare molto. Il sentiero estivo è lungo e malagevole in inverno, optiamo quindi per un avvicinamento più rapido lungo l’evidente canalone che ci porterà appena a sinistra del rifugio; così, la neve, compattata dalle valanghe, ci permette di salire rapidi nonostante il precario equilibrio impostoci dal peso degli zaini…In meno di tre ore siamo al rifugio, lo apriamo e lasciamo cambiare l'aria, chissà quanto tempo è stato chiuso…quando accenderemo la stufa sarà sicuramente più accogliente. Dopo una breve pausa decidiamo di fare una ricognizione alla “nostra” parete, l’indomani sfrutteremo la tracce appena fatte. Saliamo senza zaino e quasi sembra di volare, in un paesaggio selvaggio ed ostile, ma allo stesso tempo meraviglioso.
Arriviamo alla base della parete, tutto è immobile, pietrificato dal gelo, la via sembra abbastanza pulita dalla neve ma la prospettiva ci riserverà brutti scherzi…Prepariamo una bella piazzola e ci godiamo lo spettacolo dell’ultimo sole sulla parete NO dell’Asta Sottana, rosso fuoco, e poi giù veloci prima che venga buio. Al rifugio comincia la “battaglia” con la stufa, impieghiamo parecchio tempo per accenderla e soprattutto per mantenerla in vita ma riusciamo comunque ad arrivare a ben 15°C nella stanzetta, un vero paradiso nel gelo serale. È bello essere qui questa sera, sotto migliaia di stelle, così lontani da tutto ma così vicini alla vita, alle luci di Sant’Anna che ci tengono compagnia. Siamo intimoriti, è la prima volta che ci troviamo su una parete nord d’inverno e, da quanto leggiamo dal libro del rifugio, sarebbe la seconda invernale, ci sarà qualche motivo…, ma siamo galvanizzati da un’avventura del genere, perché tale è, un sogno che diviene realtà.
La sveglia arriva in piena notte, un’abbondante colazione, gli ultimi preparativi e si parte… Di grande aiuto sono le tracce del giorno precedente che ci consentono di arrivare all’attacco velocemente. Mentre ci stiamo preparando nasce un nuovo giorno, uno spettacolo eccezionale, dapprima il Monviso diventa rosso fuoco e poi via via le altre cime innevate quasi si incendiano…anche la Guglia “vede” qualche raggio di sole…mentre noi li rincorreremo tutto il giorno senza mai afferrarli ma vedendoli, caldi e beffardi, alle nostre spalle.
Sono le 7.30 e comincio a salire, il primo impatto è veramente brutale, c’è neve un po’ ovunque, la roccia è gelida e con gli scarponi la sensibilità è pressoché nulla; tra due bollite alle mani e la paura che i piedi scivolino arrivo al termine della prima lunghezza. Alberto sale, con qualche problemino, tant’è che un paio di volte le corde “vanno in tensione” e ,arrivato in sosta, mi dice:”Io qui non salgo da primo!!!”.
Conclusione: mi vedo costretto a farla completamente in testa. Le successive placche, che d’estate si passano in un baleno, mi impegnano al massimo così come la rampa di III trasformata in un ertissimo pendio di neve poco consistente impossibile da proteggere. Sostiamo molto scomodamente prima del tiro chiave (in estate), la traversata in orizzontale. Era la mia preoccupazione maggiore ma la trovo quasi facile essendo praticamente asciutta, poi un diedro intasato di neve e ci fermiamo su di un comodo terrazzino. Una lunghezza, placca, ovviamente ricoperta di neve inconsistente, e diedro davvero impegnativi, ci portano sullo sperone, le difficoltà dovrebbero ora diminuire ma la neve accumulata aumenta ed ogni tanto affiora anche del verglas. Il tempo continua ad essere splendido, anche la temperatura sembra essersi mitigata…oppure ho fatto l’abitudine a scalare senza guanti…Saliamo abbastanza velocemente finché non mi trovo davanti ad un’esile crestina nevosa dai bordi pressoché verticali ed inconsistenti; di lato è impensabile passare, troppo aleatorio e nessuna possibilità di protezione, non mi rimane che “cavalcarla”. Con la piccozza la spiano un po’ ed in un modo o nell’altro cerco di avanzare, strisciando; i tempi si dilatano paurosamente mentre sui due lati la cresta precipita verso i canaloni che fiancheggiano la Guglia. Quando finalmente finisce tiro un sospiro di sollievo, attrezzo una bella sosta ed urlo ad Alberto di salire; nel momento in cui anche lui si trova di fronte al passaggio mi chiede: “Come diavolo hai fatto a passare!?!”. Glielo spiego e in tutta risposta mi urla che sono pazzo…ma è l’unico modo!!! Ancora una ripida placca e poi, nuovamente, un’altra crestina nevosa, ancora più lunga…ma ormai la tecnica è collaudata e passo dopo passo arrivo a sostare su uno spuntone. Quando Alberto arriva in sosta mi fa notare come rapidamente stia imbrunendo, ero talmente preso dalla scalata che non mi ero accorto della velocità con cui era passato il tempo. La fine ancora non si vede, abbiamo un attimo di indecisione, la prospettiva di un bivacco all’addiaccio non ci alletta proprio…Decidiamo di proseguire, non dovrebbe mancare molto. Così, velocemente (l’unico tiro veramente tranquillo) mi porto sotto quello che riconosco essere l’ultimo torrione, che sostiene la cima; ormai è buio ed entrano in funzione le pile frontali. Con due brevi tiri, nel buio della notte, guidato solo dal debole raggio di luce della pila, giungiamo in cima, sono la 19.30.
La felicità è immensa, CE L’ABBIAMO FATTA!!! Finalmente possiamo ammirare la valle Gesso da un punto di vista privilegiato e sopra di noi c’è solo più aria, lo sguardo spazia per 360 gradi, non più roccia a cui aggrapparsi ma neve (e roccia) da calpestare…
Ma subito ci viene in mente l’appuntamento alle 21 con Manuela e Mathieu a Terme. è tardi…siamo terribilmente in ritardo; il più rapidamente possibile, con una doppia ed un ripido ed esposto pendio, raggiungiamo il colletto, da cui scorgiamo il Lagarot; finalmente possiamo sederci e rilassarci per un momento, buttiamo giù un boccone ammirando il Monte Stella ed il Corno Stella al chiaro di luna, momenti intensi…o forse solo l’effetto dell’adrenalina accumulata oggi durante 12 ore di scalata continua? Dopo poco ci destiamo dal sogno, non siamo che a metà strada, manca ancora la discesa, una lunga discesa. Ci incamminiamo, scendiamo il canalone su ottima neve dura ma una volta addolcitisi i pendii la neve si trasforma in un’odiosa crosta che cede ad ogni passo. Finalmente, con un’ora di ritardo, riusciamo a contattare Manuela, il suo “calore” ci infonde nuove energie…ma la discesa è ancora lunga. Ad ogni passo sprofondiamo ed il peso dello zaino certo non giova, è sempre più difficile rialzarsi, ogni volta richiede uno sforzo sempre più grande, finché in un momento di pausa quasi ci addormentiamo, sembriamo due ubriachi, ubriachi di fatica. Con grande sorpresa vediamo diverse luci a Terme, non riusciamo ad identificarle, e dopo poco Ilario ci saluta per radio, che sorpresa, insieme a Mario, Marcello, Marco ed Ezio sono venuti ad aspettarci!!!
Mancano poche curve alla fine dell’interminabile sentiero quando due figure ci vengono incontro, ci salutano e ci abbracciano, sono Ilario e Marcello che tosto ci prendono gli zaini e in men che non si dica siamo a Terme dove tutti gli altri ci accolgono un po’ infreddoliti. Per fortuna hanno del the caldo perché il nostro è ormai gelido e l’acqua ghiacciata, ci riempiono di calore e di energie…è stata davvero una bellissima sorpresa!!!
Dopo esserci riposati un po’ ci incamminiamo (noi) verso Tetti Gaina, mentre tutti loro piano piano scivolano con gli sci verso valle. È una vera tortura questo tratto, tant’è che proviamo ogni soluzione per scendere sui loro legni ma, immancabilmente dopo qualche decina di metri, finiamo per ruzzolare sulla strada ghiacciata…Poi, finalmente, eccoci a destinazione, possiamo lasciare tutto il fardello in auto, far respirare un po’ i piedi e soprattutto sederci sulla macchina che ci porterà ad un bel letto caldo…
P.S.: colgo l’occasione per ringraziare nuovamente Manuela, Ilario, Mario, Marcello, Marco, Ezio e il fedele Mathieu per il calore con cui ci hanno accolti al ritorno alle Terme.
P.P.S: “Via Campia”, Guglia del Dragonet, Valle Gesso: TD, 500m
Francesco Bottero estate 2005